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Il falso ideologico del revisore contabile non può essere considerato ex se come contributo concorsuale alla bancarotta impropria da falso in bilancio (Cassazione penale, sentenza n. 47900/2023testo in calce).

Diritto penale e processo, Direttore scientifico: Spangher Giorgio, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina – La Rivista segue l’evoluzione del diritto penale sostanziale e processuale.
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Il fatto

Il giudizio di merito esitava nella condanna dei tre imputati per concorso nel delitto di bancarotta impropria da reato societario, con riguardo al fallimento di una società per azioni: in particolare, gli imputati venivano ritenuti responsabili del delitto di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1 in relazione al reato di falso in bilancio (art. 2621 c.c.) commesso, rispetto alla posizione dei due revisori contabili, negli anni 2005, 2006, 2007, nonchè, per tutti compreso il presidente del Consiglio di Amministrazione della fallita, in relazione al bilancio del 2008: i primi due, quali concorrenti estranei, per aver svolto l’incarico di revisori contabili, redigendo le relazioni sui bilanci consolidati e d’esercizio sopra citati; l’ultimo, nella veste di Presidente del Consiglio di amministrazione della fallita.

Avverso la pronuncia indicata ricorrevano gli imputati, tramite i rispettivi difensori, sviluppando plurimi motivi di violazione di legge e vizio di motivazione: in particolare, per quel che maggiormente interessa, violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del reato in contestazione relativamente a una condotta dei revisori sussumibile invece nell’art. 2624 c.c. (norma incriminatrice vigente all’epoca dei fatti) e violazione di legge in punto di elemento soggettivo del reato, quanto al Presidente del CdA.

Per i revisori, le difese sostenevano che il falso nella relazione integrasse una autonoma fattispecie di reato “proprio” dei revisori, allora prevista dall’art. 2624 c.c., diversa e non concorrente con il falso in bilancio di amministratori e sindaci disciplinato nell’art. 2621 c.c.

Per il Presidente del CdA la difesa lamentava un erroneo inquadramento dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta societaria che la Corte di appello aveva ricostruito come dolo eventuale riferito al dissesto, senza tenere conto del dolo intenzionale di ingannare i soci o il pubblico richiesto dal reato presupposto di falso in bilancio, secondo la norma incriminatrice all’epoca vigente.

La sentenza

La Corte di cassazione ha ritenuto i ricorsi meritevoli di accoglimento disponendo l’annullamento senza rinvio per non aver commesso il fatto in relazione alla posizione dei due revisori e con rinvio in relazione alla posizione del presidente del CdA.

In tale ottica ha preso le mosse da un sintetico inquadramento dedicato al delitto di bancarotta societaria e allo statuto penale dei revisori per poi esaminare la condotta che, in concreto, i giudici di merito avevano addebitato agli imputati.

Preliminarmente la Corte ha tracciato i limiti temporali e oggettivi del suo scrutinio osservando che i fatti-reato ricadevano ratione temporis nell’alveo della disciplina dell’attività di revisione anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. n. 39 del 2010; si collocavano nella formulazione dei reati societari anteriore alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 69 del 2015; riguardavano una società non quotata in borsa.

La bancarotta societaria

L’art. 223 comma 2 n. 1 della legge fallimentare punisce gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c..

Trattasi di reato proprio non esclusivo che richiede la partecipazione di almeno un soggetto qualificato rientrante nelle categorie codificate dalla norma, con il quale può concorrere ex art. 110 c.p. anche un soggetto non qualificato (es. dipendente, collaboratore, professionista esterno) fornendo un consapevole contributo morale (es. istigazione, determinazione, rafforzamento dell’altrui proposito criminoso) o materiale (es. predisposizione del bilancio falso) alla realizzazione dell’illecito, in presenza della necessaria componente soggettiva.

I reati societari specificamente indicati – i quali, a loro volta, sono reati propri – rappresentano un elemento costitutivo della fattispecie di bancarotta in esame e devono perfezionarsi in tutte le loro componenti oggettive e soggettive.

La bancarotta impropria è, a differenza delle ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria di cui alla L. Fall., art. 223 comma 1, che sono reati di pericolo, un reato di evento rappresentato dal dissesto che, come tale, deve essere causalmente ricollegabile ai reati presupposti e investito del necessario elemento soggettivo.

Quanto all’elemento oggettivo si è chiarito in giurisprudenza che integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell’amministratore che espone nel bilancio dati non veri al fine di occultare la esistenza di perdite e consentire quindi la prosecuzione dell’attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con conseguente accumulo di perdite ulteriori, poichè l’evento tipico del reato comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto.

Sotto il profilo soggettivo si è evidenziata la struttura complessa del dolo dovendo questo comprendere – oltre alla consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico – il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari.

La responsabilità penale dei revisori

Quanto ai revisori contabili, la Corte ha evidenziato come tali soggetti esulino dal novero dei soggetti qualificati dal reato di bancarotta societaria ex art. 223 L. Fall., potendo essere chiamati a rispondere dello stesso soltanto in veste di estranei, secondo le norme generali sul concorso.

All’epoca dei fatti, l’attività del revisore era disciplinata dall’art. 2409-ter c.c. e la falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione era punita dall’art. 2624 c.c. il quale al comma 1 prevede(va) una ipotesi contravvenzionale di reato “proprio”, di pericolo, assistita da dolo specifico e intenzionale, consistente nel fatto dei responsabili della revisione di attestare il falso od occultare informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, nelle relazioni o in altre comunicazioni,

L’art. 2624 c.c. assegna(va) una precisa valenza penale al falso ideologico commesso dal revisore (ovvero il falso nelle relazioni di revisione) ma al di fuori del perimetro del reato di falso in bilancio punito dai precedenti artt. 2621 e 2622 c.c..

La posizione dei revisori

La Corte di cassazione ha concluso evidenziando come le condotte accertate dai giudici di merito e addebitate agli imputati fossero consistite nel formulare, nelle relazioni degli anni dal 2005 al 2008, false attestazioni di regolarità dei bilanci e nell’omettere informazioni rilevanti sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, vale a dire condotte integranti l’elemento materiale tipizzato dall’art. 2624 c.c. (reato non contestato e da anni ormai prescritto), che non ha alcuna attinenza con l’art. 2621 c.c. (falso in bilancio) nè con la L. Fall., art. 223 comma 2, n. 1, (bancarotta societaria) e che, per tale ragione, non può ex se rappresentare una modalità di concorso nei ridetti reati propri, pena la torsione dei principi di legalità e di tipicità.

Ed invero, ha rilevato la Corte di legittimità, con la bancarotta impropria il legislatore ha inteso rafforzare l’imposizione di particolari doveri, correlati a penetranti poteri, posti dalla normativa civilistica a carico di determinati soggetti (organi interni di gestione e di controllo) per la tutela dell’impresa individuale o della società, dei soci e dei creditori sociali: orbene, poiché il revisore, che è figura esterna agli organi societari, rimane estraneo a tutto ciò, il suo eventuale apporto all’autore qualificato nella commissione del reato di falso in bilancio (ad esempio assicurando allo stesso una relazione positiva) e, conseguentemente, di quello di bancarotta societaria, passa attraverso le ordinarie forme di cui all’art. 110 c.p. (e relativi oneri probatori) e non attraverso una non consentita combinazione di altre norme incriminatrici, foriera di inammissibili scorciatoie probatorie.

In particolare, nel caso di concorrente morale, il contributo causale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, che impongono al giudice di merito un obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101).

Nel caso in rassegna le sentenze di merito erano dotate di un’ampia ed esaustiva esposizione degli elementi di prova raccolti – non suscettibile di ulteriore arricchimento – dalla quale non emergevano concreti elementi a sostegno di un contributo partecipativo dei revisori nel reato proprio di amministratori.

Di qui l’annullamento senza rinvio perchè un eventuale giudizio di rinvio, data la esaustiva disamina del materiale acquisito utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non avrebbe potuto ad avviso dei giudici di legittimità, in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata.

La posizione del Presidente del CdA

Quanto alla bancarotta societaria contestata al presidente del CdA in tale qualità e riferita alla falsità nel bilancio relativo all’anno 2008, la Corte ha disposto l’annullamento con rinvio dal momento che i giudici di merito avevano del tutto pretermesso di indagare sull’atteggiamento psicologico richiesto dal reato societario e al riguardo ha ricordato come tale elemento psicologico abbia una struttura complessa che comprende – oltre alla consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico – il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari.

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