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Conformemente all’orientamento già espressa da una parte della giurisprudenza di merito[1], il Collegio bolognese ha individuato, tenuto conto delle norme previste in tema di esdebitazione del soggetto sottoposto a liquidazione controllata, un termine minimo di durata della procedura coincidente con quello richiesto per pronunciare l’esdebitazione, nonché (in caso di esdebitazione) un identico termine massimo, in considerazione delle previsioni dell’art. 21, comma III, della Direttiva 1023/2019, sulla ristrutturazione e l’insolvenza (recepita con il D.lgs. n. 83/2022).

Tali orientamenti hanno trovato recentemente conferma nella sentenza della Corte Costituzionale n. 6, del 19 gennaio 2024, che, nel rigettare la questione di illegittimità sollevata dal Tribunale di Arezzo, ha affermato che, ai fini della decisione riguardo alla durata della procedura, il parametro di riferimento deve essere costituito dal soddisfacimento dei crediti concorsuali e di quelli aventi a oggetto le spese della procedura, coerentemente con la funzione dell’istituto della liquidazione controllata, correlata alla responsabilità patrimoniale del debitore.

Tale parametro deve essere coordinato con due ulteriori istanze; segnatamente: «da un lato, deve raccordarsi con l’istituto della esdebitazione, che comporta una responsabilità patrimoniale contenuta nel tempo e, pertanto, limita l’apprensione dei beni sopravvenuti del debitore. Da un altro lato, va considerata l’esigenza di porre un limite alla durata della procedura concorsuale, che indirettamente si riverbera sulla durata del meccanismo acquisitivo, in quanto il procedimento giurisdizionale non può protrarsi per una durata irragionevole, tanto più ove si consideri che la sua apertura inibisce ogni azione individuale esecutiva o cautelare (art. 150 CCII)».

La Corte riconosce che, nel rispetto del diritto unionale (nello specifico, art. 21, comma 1, della Direttiva 2019/1023/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019), «l’esdebitazione pone un limite temporale massimo alla apprensione dei beni sopravvenuti del debitore, poiché incide sulle stesse ragioni creditorie, d’altro canto, in presenza di crediti concorsuali non ancora soddisfatti prima del triennio, essa finisce per operare anche quale termine minimo. Ove, infatti, per adempiere ai debiti relativi ai crediti concorsuali e a quelli concernenti le spese della procedura sia necessario acquisire i beni sopravvenuti del debitore (compresi i crediti futuri o non ancora esigibili), i liquidatori – salvo che riescano a soddisfare integralmente i citati crediti tramite la vendita di beni futuri o la cessione di crediti futuri o non ancora esigibili -sono tenuti a prevedere un programma di liquidazione che sfrutti tutto il tempo antecedente alla esdebitazione e che, dunque, sia di durata non inferiore al triennio”; precisando altresì che la durata dell’apprensione dei beni sopravvenuti dipende “dall’ammontare delle risorse complessive disponibili e dall’entità dei crediti concorsuali, oltre che delle spese di procedura, fatto salvo il limite temporale desumibile dall’istituto dell’esdebitazione e fermo restando il rispetto della ragionevole durata della procedura.».

Ne deriva, dunque, che se la procedura può certamente apprendere tutti i beni che pervengono entro i tre anni dall’apertura e che può proseguire finché tutti i beni non sono liquidati, si deve, tuttavia, rilevare che qualora il debitore ottenga l’esdebitazione, l’apprensione di quote di reddito non sarà più possibile, poiché la prosecuzione dell’attività liquidatoria è limitata ai beni già presenti nel patrimonio del debitore in quel momento. Il termine di tre anni, pertanto, costituisce – in caso di riconoscimento dell’esdebitazione – anche il limite temporale massimo per l’acquisizione della quota di stipendio.

 

 

 

 

 

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[1] Cfr. Trib. Padova, 20.10.2022.

 

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