Il mancato o inesatto adempimento da parte del professionista all’obbligo di dare esecuzione all’incarico ricevuto con la diligenza necessaria in relazione alla natura dell’opera affidatagli e a tutte le circostanze del caso, ove sia stato idoneo ad incidere sugli interessi del cliente consente a quest’ultimo (ovvero, in caso di fallimento, al suo curatore) di sollevare, ai sensi dell’art. 1460 c.c., l’eccezione d’inadempimento e, quindi, di rifiutare legittimamente il pagamento (o l’ammissione al passivo del credito al) relativo compenso, non potendosi certo ritenere contrario a buona fede l’esercizio del potere di autotutela ove sia stata pregiudicata (con la presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo che, in quanto priva di informazioni rilevanti per i creditori, era destinata a non essere omologata o, addirittura, a non essere accolta neppure con l’ammissione dell’istante alla procedura) la chance di vittoria in giudizio. (Nel caso di specie la società committente non aveva conseguito il risultato evidentemente perseguito con il conferimento del relativo incarico, e cioè l’omologazione del concordato preventivo proposto e, prima ancora, l’ammissione a tale procedura, rimanendo, per contro, irrilevante, non essendo di certo questo l’interesse perseguito dalla committente con il contratto di prestazione d’opera, che la prestazione del professionista abbia consentito, con la proposizione della domanda, il conseguimento del risultato di rendere inopponibili alla massa alcune ipoteche iscritte contro la società fallita). È quanto stabilito dalla Cassazione con ordinanza n. 17002 del 20 giugno 2024.
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