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Prosegue il dibattito giurisprudenziale sulla delicata questione relativa alla sorte dell’imprenditore cancellato dal Registro delle imprese, insolvente sulla base di una situazione debitoria composita, ovverosia caratterizzata sia da debiti contratti per esigenze personali e familiari, sia da debiti contratti scaduti connessi alla pregressa, ora non più svolta, attività imprenditoriale.

Si ricorda che su tale questione un primo punto fermo, comunque dibattuto e a più voci non condiviso né in giurisprudenza né in dottrina, è stato posto dalla Cassazione, che, con il decreto n. 22699/2023, ha escluso, per l’imprenditore cancellato dal Registro delle imprese con un’insolvenza composita, la possibilità di accedere sia alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore ex artt. 67 ss. del DLgs. 14/2019 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, CCII) – non potendo in capo a detto soggetto attribuirsi la qualifica di “consumatoreex art. 2 comma 1 lett. e) del CCII, nozione quest’ultima da interpretarsi alla luce del principio di diritto, da considerarsi ancora “attuale” in presenza di “un quadro normativo [in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento, ndr] sostanzialmente invariato”, espresso dalla Suprema Corte con la storica sentenza n. 1869/2016 – sia alla procedura di concordato minore ex artt. 74 ss. del CCII, dato il disposto di cui all’art. 33 comma 4 del CCII, applicabile non solo agli imprenditori collettivi, ma anche agli imprenditori individuali.

La Cassazione, nel citato decreto, ha concluso osservando come il fatto di negare a detto debitore la possibilità di accedere a uno strumento concordatario non rappresenti un vulnus di tutela, potendo comunque anche quest’ultimo beneficiare (al pari degli altri debitori) della possibilità di ottenere l’esdebitazione attraverso il ricorso alla procedura di liquidazione controllata, una volta decorso il triennio dall’apertura ex art. 282 del CCII e senza neppure dover attendere la chiusura della procedura liquidatoria.

Tanto premesso, se la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza pronunciata in fase di reclamo presentato ai sensi dell’art. 51 del CCII e depositata il 25 marzo 2024, in linea con la prima considerazione della Suprema Corte, ha aderito alla tesi relativa all’esclusione, per tale soggetto, della possibilità di accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore ex artt. 67 ss. del CCII, peraltro confermando la piena compatibilità di un impianto normativo così delineato e con la Direttiva Ue 2019/1023 e con la Costituzione (cfr. artt. 3 e 24), il Tribunale di Bari, con il decreto di inammissibilità pronunciato il 15 febbraio 2024, in linea invece con la seconda considerazione, ha aderito alla tesi relativa all’inammissibilità, visto il disposto letterale di cui all’art. 33 comma 4 del CCII, di una proposta di concordato minore ex artt. 74 ss. del CCII presentata da un imprenditore cancellato dal Registro delle imprese con insolvenza composita.

La pronuncia del Tribunale di Bari – che, pur esprimendo un principio aderente a quello espresso dalla citata giurisprudenza di legittimità (e, ancor prima, da altro orientamento sviluppatosi sotto la vigenza del RD 267/42, cfr. Cass. 20 febbraio 2020 n. 4329 e 20 ottobre 2015 n. 21286), registra, tuttavia, voci dissonanti nella giurisprudenza di merito (in senso conforme, Trib. Torino 24 luglio 2023; contra, Trib. Ancona 11 gennaio 2023) – indipendentemente dalla sua condivisibilità o meno, appare degna di nota perché si pone l’ulteriore scrupolo di risolvere l’apparente “irrisolvibile contrasto” e contraddizione dell’art. 33 comma 4 del CCII rispetto all’art. 65 comma 1 del CCII, il quale, se letteralmente interpretato, parrebbe consentire a tutti i debitori, purché non assoggettabili alla liquidazione giudiziale (ovvero alla liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza), di accedere indistintamente a qualsivoglia procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, senza limitarne la portata in relazione ad alcuni piuttosto che ad altri.

Sul punto, secondo il Tribunale di Bari, tale contrasto tra norme, apparentemente irrisolvibile, non sussisterebbe, “posto che in favore dei debitori individuati dal primo comma non sono di per sé applicabili tutte le procedure di composizione della crisi, supponenti ora la qualità di consumatore ed ora quella di imprenditore e risultando in ogni caso conseguibile il beneficio dell’esdebitazione con la residuale liquidazione controllata”.

 

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