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Codice di procedura civile e disposizioni di attuazione, a cura di Consolo Claudio, Ed. IPSOA, 2023. Testo pre e post riforma Cartabia.
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Il parere sulla congruità della pretesa dell’avvocato già previsto dalla legge forense

La legge professionale forense prevede che, tra i compiti del Consiglio dell’Ordine, vi sia la formulazione di pareri sulla liquidazione dei compensi spettanti agli iscritti (articolo 13, comma 9 e articolo 29 lett. l legge 31 dicembre 2012 n. 247).

L’istanza rivolta all’Ordine per il rilascio del parere avrà ovviamente ragion d’essere solo in assenza di accordo scritto di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente ex art. 2233 c.c., dato che le sue pattuizioni risulterebbero, altrimenti, preminenti su ogni altro criterio o modalità di liquidazione.

Anche la previgente legge professionale (Regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578) prevedeva al suo articolo 14 che i Consigli dell’Ordine degli avvocati e dei procuratori dovessero dare: “il parere sulla liquidazione degli onorari di avvocato nel caso preveduto dall’articolo 59 e negli altri casi in cui è richiesto a termini delle disposizioni vigenti”.

I due pareri previsti dall’art. 13 e 29 dell’attuale legge forense non differiscono per la portata dell’intervento richiesto al Consiglio e sono quindi entrambi utilizzabili anche ai fini della richiesta di un decreto ingiuntivo ex art. 636 c.p.c.

Semmai l’articolo 13 pare far riferimento al fatto che tale parere venga richiesto all’esito negativo del tentativo di conciliazione tra l’avvocato e il cliente, mentre quello previsto dall’art. 29 possa del tutto prescinderne. Ciò che non toglie la sostanziale identità dei due provvedimenti.

Non a caso, del resto, il parere di congruità è stato previsto dal legislatore nel titolo III (Organi e Funzioni degli Ordini Forensi), capo II (Ordine Circondariale), all’articolo 29 (Compiti e prerogative del consiglio) laddove ha proprio elencato i poteri attribuiti ai Consigli forensi.

Il c.d. “opinamento” implicando la valutazione di congruità del “quantum”, attraverso un motivato giudizio critico (Cass. sez. un., 8 luglio 2021, n. 19427; Cass. sez. un. 12 marzo 2008, n. 6534; Cass. sez. un. 27 gennaio 2009, n. 1874; Cass. sez. un. 24 giugno 2009, n. 14812; Cass. sez. un. 29 ottobre 1992, n. 11765) pur avendo una finalità obiettiva, non può tradursi in una determinazione che prescinda dal considerare l’effettiva realtà delle prestazioni professionali rese (Cons. St. 24 maggio 2005, n. 2630).

Non pare quindi poter trovar cittadinanza all’interno dell’Ordinamento la figura del c.d. visto di conformità che sarebbe limitata, secondo le prassi di alcuni Ordini forensi, alla mera verifica della corrispondenza tra le voci e gli importi esposti nella parcella professionale, da un lato, e quelli indicati nei parametri forensi vigenti, dall’altro.

Sfuggirebbe del resto la concreta utilità di tale visto considerata la sua non utilizzabilità per il recupero del compenso dell’avvocato.

Il parere di congruità viene pacificamente ritenuto essere un atto amministrativo che mira a tutelare non solo gli interessi degli iscritti e la dignità della professione, ma anche gli interessi degli stessi privati destinatari dell’attività professionale oggetto di valutazione di congruità, essendo al contempo volta ad impedire richieste di compensi che si fondino su pareri illegittimi in quanto non corrispondenti all’oggettiva importanza dell’opera professionale in concreto svolta (T.A.R. Venezia, 13 febbraio 2014, n. 183).

Considerata la rilevanza di tale parere di congruità dell’Ordine degli avvocati ai soli fini della formazione della prova scritta necessaria per l’emanazione di provvedimenti monitori in sede civile (art. 636 c.p.c.) la sua impugnabilità avanti al tribunale amministrativo non è però pacifica atteso il potere del Giudice ordinario, investito della causa di opposizione a decreto ingiuntivo, di sindacare sotto ogni aspetto la spettanza dei compensi professionali e l’assoluta impossibilità, quindi, di attribuire al parere dell’Ordine di appartenenza un qualche effetto probatorio preclusivo.

Si ritiene addirittura che tale difetto d’interesse ad agire avanti il tribunale amministrativo per l’annullamento del parere reso sussista anche ove non sia stato ancora emesso alcun decreto ingiuntivo nei confronti del cliente considerata l’impossibilità di far derivare dall’eventuale accoglimento del ricorso alcun autonomo effetto e utilità (T.A.R. Firenze, sez. II, 20 dicembre 2012, n. 2024; T.A.R. Catania, sez. IV, 10 aprile 2019, n. 782; contra Cass. civ. sez. un., 24 giugno 2009, n. 14812; T.A.R. Perugia, sez. I, 10 maggio 2016, n. 395).

Il parere di congruità della pretesa dell’avvocato previsto dalla legge sull’equo compenso

Il 12 aprile 2023 è stato approvato in seconda lettura dalla Camera dei deputati il disegno di legge C. 338-B (Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali) che all’articolo 7 (Parere di congruità con efficacia di titolo esecutivo) prevede che:

1. In alternativa alle procedure di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile e di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, il parere di congruità emesso dall’ordine o dal collegio professionale sul compenso o sugli onorari richiesti dal professionista costituisce titolo esecutivo, anche per tutte le spese sostenute e documentate, se rilasciato nel rispetto della procedura di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e se il debitore non propone opposizione innanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’articolo 281-undecies del codice di procedura civile, entro quaranta giorni dalla notificazione del parere stesso a cura del professionista.

2. Il giudizio di opposizione si svolge davanti al giudice competente per materia e per valore del luogo nel cui circondario ha sede l’ordine o il collegio professionale che ha emesso il parere di cui al comma 1 del presente articolo e, in quanto compatibile, nelle forme di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.”.

Nel caso specifico degli avvocati, l’Ordine forense di appartenenza e per esso il Consiglio dell’Ordine potrà, dunque, ora emettere un parere di congruità ai parametri forensi del compenso preteso nei confronti del cliente che, se da questi non opposto, costituirà titolo esecutivo, anche per tutte le spese sostenute e documentate.

È stato, quindi, introdotto un nuovo titolo esecutivo stragiudiziale di natura amministrativa (art. 474, comma 2, n. 1 c.p.c.) avente ad oggetto la liquidazione del compenso degli avvocati e di tutti i professionisti appartenenti alle categorie ordinistiche.

Il nuovo strumento processuale, volto ad ottenerlo, va quindi ad aggiungersi agli altri due ritenuti utilizzabili dagli avvocati per ottenere il pagamento del compenso per prestazioni giudiziali civili costituiti dal procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 633 c.p.c. e segg., e dallo speciale procedimento previsto dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, nel testo sostituito dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14 (Cass. Sez. Un., 8 luglio 2021, n. 19427; Cass. Sez. Un. 23 febbraio 2018, n. 4485; Cass. 19 febbraio 2020, n. 4247).

Nulla dice la norma sulla competenza territoriale per la presentazione dell’istanza forse perché l’art. 29, comma 1, della legge professionale forense (L. 247 del 2012) già prevede che il Consiglio dell’Ordine abbia competenza a rilasciare i pareri sulla liquidazione dei compensi solo in favore dei propri iscritti.

In ragione del fatto che si tratta pur sempre di un procedimento amministrativo e non giudiziario pare, in ogni caso, da escludersi una diversa competenza territoriale in forza dell’applicazione del c.d. foro del consumatore (art. 66 bis D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) che condurrebbe alla competenza dell’Ordine forense nel cui circondario risieda il cliente piuttosto che a quello cui l’avvocato appartenga al momento del deposito dell’istanza.

Il foro del consumatore trova, infatti, applicazione solo per il caso espressamente previsto di controversie civili giudiziarie alle quali non appartiene quella volta ad ottenere il parere di congruità dal proprio Ordine di appartenenza.

Nuovo provvedimento o “rafforzamento” di quello pre-esistente?

L’articolo 7 della legge sull’equo compenso non fa alcun riferimento agli articoli 13 e 29 della legge professionale forense e non rende quindi manifesto se abbia inteso modificare implicitamente il parere di congruità previsto dalla legge professionale forense o se abbia inteso, invece, dar vita ad un nuovo tipo “rafforzato”.

Al parere è stato ora, infatti, attribuito dal legislatore un autonomo valore di titolo esecutivo e come tale, se non opposto, esso sarà dunque azionabile anche senza la necessità di un successivo ricorso monitorio all’Autorità giudiziaria.

Il parere di congruità appare, quindi, essere stato svincolato dalla sua funzione meramente ancillare ad un provvedimento giudiziario e dotato, se non opposto, di una sua potenziale, autonoma, valenza esecutiva.

Considerata la necessità della ricorrenza degli stessi presupposti e dello svolgimento della medesima istruttoria per il suo rilascio, pare preferibile ritenere che il legislatore abbia inteso implicitamente modificare il parere di congruità già previsto dalla legge professionale forense rafforzandolo mediante l’attribuzione di una sua nuova valenza esecutiva.

Parrebbe, quindi, non esservi alcuna possibilità per il professionista di optare per il “vecchio” parere di congruità piuttosto che instare per il “nuovo”.

Si potrebbe sostenere che tale conclusione potrebbe non essere valida quando s’intendesse ottenere un’ingiunzione esecutiva per poi iscrivere in forza di essa un’ipoteca giudiziale.

L’articolo 2818 c.c. attribuisce, infatti, una tale possibilità solo ai provvedimenti giudiziari, tra i quali non rientra certamente il nuovo parere di congruità attesa la sua natura amministrativa.

Anche in tal caso, tuttavia, la tesi dell’identità tra i due provvedimenti non pare poter essere messa in discussione dato che sarebbe all’uopo sufficiente non avvalersi del parere di congruità come titolo esecutivo optando invece per un suo utilizzo nell’ambito di un ricorso monitorio avanti l’Autorità giudiziaria.

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L’oggetto del parere di congruità

È previsto che il parere di congruità possa riguardare sia il compenso che le spese. Il fatto che siano documentate, infatti, non esclude che esse non vengano ritenute congrue all’attività svolta. Valutazione che quindi sarà, pure demandata all’Ordine di appartenenza.

La nuova norma tace in merito alla natura dell’attività nell’ambito della quale l’avvocato avrebbe maturato il proprio diritto al compenso.

Nel silenzio della legge esso potrà dunque riferirsi anche ad un’attività stragiudiziale come noto esclusa, invece, dall’ambito dello speciale ricorso ex art. 14 D. lgs. 150/2011.

Si tratta, peraltro, di una tesi già pacifica (Tribunale Salerno sez. II, 5 maggio 2016 n. 1971) con riguardo al parere di congruità previsto genericamente dalla legge forense che non lo limita alla sola attività giudiziale svolta dall’avvocato.

Nel caso, tuttavia, il parere riguardi compensi maturati per un’attività stragiudiziale, alla luce del riferimento alle sole prestazioni giudiziali contenuto nel primo comma di quest’ultima norma, l’eventuale opposizione non dovrebbe potersi svolgere nelle forme del rito speciale previsto dall’art. 14 D. lgs. 150/2011 ma seguire le forme ordinarie dell’opposizione previste dall’art. 645 c.p.c. come pare implicitamente prevedere il comma secondo dell’art. 7 quando precisa, riferendosi al rito: “in quanto compatibile”.

Non è previsto che il nuovo parere di congruità debba contenere una formale ingiunzione o una condanna espressa e dunque dovrà limitarsi a dichiarare quale sia l’importo congruo per l’attività svolta.

Del resto, anche lo speciale procedimento di liquidazione del compenso degli avvocati previsto dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794 e dall’articolo 14 del Dlgs. 150/2011 (oltre che l’art. 306, comma 4, c.p.c.) fa riferimento ad una mera “liquidazione” ma non sussistono dubbi che tale provvedimento ben possa il titolo per una successiva azione esecutiva.

Non è nemmeno previsto che il parere possa contenere una condanna alla rifusione del compenso e dei costi (l’articolo 29, comma 3, lett. b della L. 247 del 2012 autorizza il Consiglio dell’Ordine a fissare contributi per il rilascio di pareri sui compensi) affrontati per l’opinamento che, come noto, sono previsti da ogni Ordine in una percentuale solitamente variabile dall’1 al 3% dell’importo della parcella.

Potrebbe quindi, prima o poi, porsi il problema dell’ammissibilità del recupero di detti costi con un’autonoma procedura giudiziaria.

Il procedimento per il rilascio del parere di congruità

Considerata la natura oggettivamente e soggettivamente amministrativa del parere di congruità (gli Ordini forensi sono, come noto, considerati enti pubblici non economici; Cass. civ. sez. un., 24 giugno 2009, n. 14812), la procedura per la sua adozione è soggetta alle norme generali che governano l’azione amministrativa.

Tenuto conto della specifica funzione istituzionale attribuita all’Organo professionale e della natura degli interessi coinvolti, è quindi obbligatoria la comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale sarà destinato a produrre effetti diretti (art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241).

Ciò per assicurare la partecipazione alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione (artt. 9 e 10 della legge n. 241/1990) del destinatario dell’atto finale, o comunque di colui che vanti rispetto a questo un interesse differenziato e qualificato, e al contempo, per garantire piena visibilità all’azione amministrativa nel momento della sua formazione.

Il parere di congruità esplica, infatti, effetti esterni (rispetto ai soggetti del rapporto pubblicistico strettamente inteso) direttamente lesivi della posizione sostanziale vantata dal cliente del professionista.

La prescritta partecipazione è pure in grado di contribuire ad assicurare una corretta formazione del provvedimento dell’Ordine, così realizzando i principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa predicati dall’articolo 97 della Costituzione.

Ma se il parere di congruità deve essere rilasciato nel rispetto della procedura di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 ciò significa che in forza dell’articolo 3 (Motivazione del provvedimento) esso dovrà:

1. […] essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.”

e che dovranno:

4. […] essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere.”.

Il parere, dunque, dovrà, essere motivato e contenere il termine e l’Autorità giudiziaria avanti alla quale opporlo nelle forme di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (art. 281 undecies del codice di procedura civile) potendo diventare, in difetto, titolo esecutivo.

Non è previsto che il parere di congruità debba contenere anche l’espresso avvertimento che, in mancanza di opposizione, si potrà procedere a esecuzione forzata, come stabilisce invece espressamente per i decreti ingiuntivi l’art. 641 c.p.c., ma tale precisazione potrebbe essere ritenuta un mero completamento, a livello di conseguenze, nel caso di inerzia, dell’indicazione del termine per opporlo.

La “nuova” impugnazione del parere di congruità

Come già accennato, è ora previsto che l’impugnazione del parere di congruità come modificato dalla legge sull’equo compenso possa essere proposta, entro quaranta giorni dalla sua notificazione a cura del professionista, avanti l’Autorità giudiziaria ordinaria ai sensi dell’articolo 281-undecies del codice di procedura civile e quindi dell’articolo 14 del d.lgs. n. 150 del 2011.

Non è, tuttavia, previsto alcun termine per provvedere a tale notifica, sulla falsariga dell’articolo 644 c.p.c. in tema di decreti ingiuntivi.

L’opposizione, peraltro, va certamente intesa in senso a-tecnico, visto che da un lato manca un’ingiunzione o un’intimazione e dall’altro che essa viene proposta ad una Autorità diversa (giudiziaria invece che amministrativa) da quella che ha emesso il provvedimento opposto.

Il giudizio di opposizione al parere di congruità si svolge davanti al giudice competente per materia e per valore del luogo nel cui circondario ha sede l’Ordine che lo ha emesso.

La competenza “di favore” per il professionista per tale giudizio appare un elemento di novità confliggente con l’impostazione, sinora assunta dal legislatore, di tutela del consumatore, anche sul terreno processuale, sotto forma di deroga ai criteri di determinazione della competenza per territorio privilegiando il luogo in cui il consumatore abbia la residenza o il domicilio elettivo.

In ordine alla procedura, dopo le modifiche apportate al citato articolo 14 del decreto semplificazione riti dalla c.d. riforma Cartabia (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), il richiamo all’articolo 281-undecies del codice di procedura civile comporta sia l’applicazione del nuovo rito semplificato di cognizione che la competenza giudiziale non più collegiale, ma monocratica, a conoscere dell’eventuale opposizione.

Ciò apre all’interrogativo se possa ritenersi competente per il giudizio di opposizione anche l’Ufficio del giudice di pace.

La risposta non può che essere affermativa dato che il riferimento dell’articolo 14 del D. lgs. 150/2011 alla decisione in composizione monocratica “del tribunale” appare solo il frutto del sovrapporsi delle modifiche legislative. Solo per il tribunale, infatti, era prevista anche la competenza collegiale per le controversie previste dall’articolo 28 della L. n. 794 del 1942, e per l’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c. ma tale riserva non poteva considerarsi un tratto essenziale di tale procedimento.

La competenza dell’ufficio del giudice di pace in tema di opposizioni rientranti nel perimetro previsto dall’art. 14 del decreto semplificazione riti è stata, tra l’altro, anche recentemente espressamente dichiarata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. sez. II, 29 marzo 2023, n. 8929).

In forza del nuovo orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. sez. VI – 29 febbraio 2016, n. 4002; Cass. civ. sez. II – 17 maggio 2017, n. 12411; Cass. civ. sez. un. – 23 febbraio 2018, n. 4485) pare scontato che l’opposizione anche al parere di congruità possa riguardare non solo il quantum (opinato) ma anche l’an della pretesa dell’avvocato.

La nuova valenza di titolo esecutivo del parere di congruità

È espressamente previsto dal primo comma dell’art. 7 della legge che il parere di congruità del compenso degli avvocati e di tutti i professionisti appartenenti alle categorie ordinistiche, se non opposto, possa costituire titolo esecutivo.

Tale provvedimento stragiudiziale di natura amministrativa viene, quindi, ora fatto rientrare tra “gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva” previsti dall’articolo 474, secondo comma, n. 1 c.p.c. in grado di legittimare un’esecuzione forzata.

Ancorché il legislatore della riforma Cartabia, con l’articolo 3, commi 34-44, del D. Lgs. n. 149/2022, abbia abolito il concetto di formula esecutiva sostituendolo con quello di “copia attestata conforme all’originale”, non pare che ciò possa avere alcuna rilevanza per il parere di congruità consideratane la natura amministrativa.

In forza dell’articolo 479 c.p.c. per poter però legittimare un’esecuzione forzata in forza di un parere di congruità non opposto deve ritenersi necessaria la previa notificazione del titolo esecutivo, in copia attestata conforme all’originale (oltre che del precetto).

Sembrerebbe, dunque, inevitabile che si debba procedere ad una seconda notifica del parere di congruità, dopo la prima effettuata al fine di fare decorrere termini per un’eventuale opposizione, non essendo stata prevista una norma sulla falsariga dell’articolo 654, comma 2, c.p.c. in tema di decreto ingiuntivo.

Pare scontato che il soggetto legittimato al rilascio di tale (seconda) copia conforme del parere di congruità sia sempre l’Ordine che ha rilasciato la prima ai sensi dell’art. 22 e ss. della legge 241/90 dato che l’originale del parere di congruità deve rimanere nei verbali del Consiglio.

Non si ritiene, quindi, che possa attestare la conformità del parere l’avvocato in possesso della prima copia in primis perché in possesso solo di una copia e non dell’originale e, per di più, con data antecedente al decorso dei termini per l’impugnazione, e poi perché i suoi poteri di autentica sono limitati, in virtù di quanto previsto dal D.L. 179/2012, a quanto estratto dai fascicoli telematici dei processi in cui sia costituito, mentre, come si è detto, il procedimento per il rilascio del parere di congruità avanti l’Ordine di appartenenza ha natura amministrativa e non giudiziaria.

Il rilascio della seconda copia conforme del parere di congruità su richiesta dell’avvocato interessato dipende, come visto, dalla mancanza di opposizione entro quaranta giorni dal perfezionamento della sua notifica al cliente.

Pur non essendo stato previsto, la cancelleria dell’Autorità giudiziaria adita per l’opposizione potrebbe quindi comunicare all’Ordine forense che ha emesso il parere di congruità il deposito della stessa onde evitare, nella pendenza dell’opposizione, l’indebito rilascio di un titolo esecutivo, anche se, nel silenzio della legge, di tale adempimento dovrà farsi, più verosimilmente, carico lo stesso opponente.

Nulla è stato previsto dal legislatore in merito alle sorti del parere di congruità in dipendenza dell’esito dell’opposizione.

Si pone quindi il dubbio se esso possa ancora costituire titolo esecutivo laddove essa sia stata rigettata.

In realtà la norma pare voler ricollegare la valenza di titolo esecutivo solo alla circostanza che il parere di congruità non sia stato opposto nel termine di quaranta giorni dalla sua notifica.

La previsione dell’articolo 653, commi 1 e 2, c.p.c. secondo cui:

[I] Se l’opposizione è rigettata con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva, oppure è dichiarata con ordinanza l’estinzione del processo, il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva.

[II]. Se l’opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta.

[…]”

pare, del resto, riferita esclusivamente al decreto ingiuntivo che è per di più un atto giudiziario e non amministrativo.

In forza del dato letterale, del principio giuridico in tema di interpretazione della legge ubi lex dixit voluit e dell’impossibilità di fare ricorso all’analogia stante la diversità dei presupposti e della natura degli atti astrattamente idonei a costituire titolo esecutivo (decreto ingiuntivo e parere di congruità) pare quindi doversi ritenere che allorquando il parere venga opposto non possa più acquistare detta valenza e si debba quindi semmai riconoscere tale qualifica solo alla sentenza che su di esso si pronuncerà.

Il parere di congruità perderebbe quindi definitivamente la possibilità di acquisire efficacia di titolo esecutivo non appena venga opposto e la mera opposizione comporterebbe la definitiva irrilevanza del parere, nemmeno più idoneo a fondare una richiesta monitoria stante la litispendenza, sicché anche l’eventuale suo rigetto non potrebbe in alcun modo determinarne la “riviviscenza”.

L’opposizione è, dunque, evidentemente, ritenuta un mezzo di impugnazione devolutivo il che comporta che solo la sentenza del giudice possa costituire titolo esecutivo poiché dipendente dal potere attribuitogli di conoscere della domanda.

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