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Con la sentenza numero 22765 del 9 giugno 2021, la Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che la fattispecie di bancarotta fraudolenta impropria commessa mediante operazioni dolose – ex art. 223 della l. fall. comma 2, n. 2, rappresenta costruito dal legislatore come a forma libera e, per l’effetto, integrabile da una condotta attiva o omissiva, costituente inosservanza dei doveri rispettivamente imposti ai soggetti indicati dalla legge, ex art. 40 del c.p. comma II, nel quale il fallimento è evento di danno. Secondo l’articolato apparato costruito dagli ermellini, inoltre, si ritiene che la fattispecie si realizza non solo quando la situazione di dissesto trovi la sua causa nelle condotte o operazioni dolose ma anche quando esse abbiano aggravato la situazione di dissesto che costituisce il presupposto oggettivo della dichiarazione di fallimento.
Ricostruendo brevemente le motivazioni della sentenza, la Cassazione evidenzia come il termine “operazione’” descriva in realtà un concetto semanticamente più ampio rispetto al termine “azione”. Quest’ultimo indica infatti una condotta meramente attiva quando invece la ratio del reato così come plasmato dal legislatore ricomprende l’insieme delle condotte tanto attive quanto omissive coordinate alla realizzazione di un piano.
Pertanto, in conclusione, la fattispecie oggettiva del reato in esame può ben essere integrata dalla violazione deliberata, sistematica e protratta nel tempo dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell’esposizione debitoria della società.
A completamento della sua analisi, la Cassazione si sofferma anche sul profilo soggettivo del reato in commento affermando come, distintamente dal reato di bancarotta fraudolenta per aver cagionato con dolo il fallimento della società, in cui è richiesto il dolo diretto di danno, nella fattispecie in analisi è richiesto solo il dolo generico ricomprendendo dunque un parco più ampio di condotte.
Il fallimento, dunque, è solo un effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare. Ciò significa che non è necessaria la volontà diretta a provocare il dissesto, essendo sufficiente la consapevolezza di porre in essere un’operazione che, concretandosi in un abuso o in un’infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità dell’insolvenza.



 

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